Italiani all’estero: protagonisti invisibili, spettatori del potere che si celebra da solo
- FLAVIO BELLINATO

- 13 jul
- 2 Min. de lectura
Nella vita pubblica – e ancor più in quella comunitaria degli italiani all’estero – ci sono momenti in cui si raggiunge un risultato importante. E sono proprio quei momenti a diventare il banco di prova della maturità istituzionale e del senso di responsabilità collettiva.
Troppo spesso, però, accade l’esatto contrario.
C’è chi, di fronte a una vittoria che dovrebbe essere condivisa, sente il bisogno di rivendicarne la paternità esclusiva. Si affretta a sottolineare che senza il proprio intervento nulla sarebbe accaduto, oscurando – intenzionalmente o meno – l’impegno di altri attori: enti di tutela, associazioni, rappresentanze locali, membri della società civile. Si reclama riconoscimento, si cerca visibilità, si chiede di essere messi “su un piano diverso”, come se la risoluzione di un problema collettivo dovesse passare attraverso logiche personali di merito.
E spesso, paradossalmente, queste pretese arrivano proprio da chi ricopre incarichi retribuiti, con mezzi e canali privilegiati a disposizione. Da chi ha il potere di ottenere risposte più rapide, eppure si comporta come se fosse in cerca di gratitudine, quasi mendicando consenso da chi opera ogni giorno nel volontariato, con pochi strumenti ma tanto senso civico.
Ma la verità è che certi risultati non si ottengono grazie a un nome solo. Nascono dal lavoro silenzioso, paziente e continuo di più persone, che mettono a disposizione il proprio tempo, la propria rete, la propria esperienza. Spesso sono volontari o funzionari con risorse limitate e molte richieste. Spesso sono cittadini che non appaiono sui giornali, ma risolvono problemi reali.
Chi ha vissuto l’esperienza della chiusura e della successiva riapertura dell’Ambasciata d’Italia a Santo Domingo, oltre dieci anni fa, sa bene di cosa parlo. Anche allora si cercò di “marchiare” una conquista collettiva – frutto di una forte pressione corale e trasversale – come se fosse il successo di uno solo. Fu un brutto esempio. E certi atteggiamenti si ripresentano ancora oggi, ogni volta che c'è in gioco consenso, visibilità o ritorno politico.
A rendere ancora più sterile questo schema è il contorno: piccoli entourage che si muovono tra social e commenti, che diffondono slogan, cercano lo scontro, attaccano chi non si allinea, e tentano – in modo a volte persino machiavellico – di dividere anziché unire. La comunità italiana all’estero, invece, merita rispetto, ascolto e rappresentanza autentica. Non servono fan club, ma persone che lavorano insieme per uno scopo comune.
Rivendicare il merito esclusivo di un successo che coinvolge più soggetti non è solo una mancanza di eleganza istituzionale: è un errore etico e strategico. Perché mina la fiducia reciproca tra cittadini e istituzioni, e manda un messaggio distorto: che tutto dipenda da una firma o da un annuncio, e non da un lavoro di rete.
Il vero servizio alla collettività non ha bisogno di riflettori. Si misura nella capacità di includere, valorizzare, riconoscere il contributo altrui. E soprattutto nella consapevolezza che il bene comune – quello autentico – non si rivendica: si costruisce.
FLAVIO BELLINATO
Italiani Oltreconfine









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